A Noto, nella cornice della Galleria Palazzo Nicolaci, va in scena fino all’8 gennaio 2023 la mostra collettiva Narcissus self-portrait, prodotta e curata dall’associazione Altera Domus in tandem con l’assessorato alla cultura del comune siciliano. L’esposizione, a cura della presidente dell’associazione culturale netina, Paoletta Ruffino, e di Federico Poletti, chiama a raccolta 18 artisti di rango, invitandoli a misurarsi con uno dei miti più noti e – in termini creativi – prolifici di sempre, quello di Narciso, appunto, descritto efficacemente nelle Metamorfosi di Ovidio. La leggenda del giovane che, punito dalla dea Nemesi per non aver ricambiato l’amore di una ninfa, si innamora della sua immagine, riflessa in uno specchio d’acqua, e muore consumato da questa futile passione, ha infatti affascinato, nei secoli, fior di autori e intellettuali, dalle opere di due mostri sacri del calibro di Caravaggio e Rubens alle tele di Salvador Dalí, fino ad arrivare alla psicanalisi freudiana.
A rileggere la vicenda mitica del figlio di Cefiso e Liriope, ciascuno secondo le peculiarità della propria cifra autoriale e ricorrendo a medium espressivi diversi (pittura, scultura, fotografia), sono ora Salvatore Alessi, Jacopo Ascari, Christian Boaro, Luigi Citarrella, Gianni Fava, Mariano Franzetti, Simone Geraci, Massimo Lagrotteria, Giovanni Longo, Pietro Lucerni, Giuseppe Mazza, Giuseppe Mazzaferro, Oreste Monaco, Hannu Palosuo, Saso Pippia, Maurizio Pometti, Gianmarco Pulimeni e Zeroottouno.
18 reinterpretazioni d’artista del mito di Narciso
L’edificio nobiliare nel cuore della città ospita, dunque, una serie di lavori di notevole impatto che, per usare le parole della stessa Ruffino, pongono i visitatori «di fronte alla più profonda esaltazione della capacità inventiva e dell’individualismo artistico, capace di dipingere con intensità l’inestricabile natura umana, sempre più dominata dalla vanità, non sempre intesa nelle sue accezioni negative, ma spesso matrice di creatività, tema ispiratore di libertà espressiva». Camminando nella sale della galleria si passa infatti dai moderni Narcisi delle foto di Monaco (ambientate in spazi dalla bellezza ormai “consumata”, dove si muovono uomini e donne senza veli che, tra pose studiate e un uso sapiente della luce, sublimano la vis rappresentativa dell’eros) agli scatti della seria Naked Moon di Lucerni (una raffinata mise en scène che ritrae la prima ballerina del Teatro alla Scala, Virna Toppi, accompagnata dal profilo magnetico della luna piena), dalle polaroid di Boaro (talento poliedrico, fondatore e designer del marchio CHB, tra i new names più interessanti della scena creativa milanese) agli stravaganti Putty Toys Tricky di Franzetti, figure dall’aspetto grottesco che ironizzano sulla smania esibizionistica delle cosiddette “fashion victim”; e ancora, dai dipinti astratti di Pippia, i cui paesaggi nascono da sovrapposizioni cromatiche che celano sogni e visioni tutte da decifrare, a quelli dagli accenti pop di Mazzaferro, dai nudi femminili di Geraci (che, raccolti in posizioni fetali, campeggiano su sfondi monocromi e sembrano abbandonarsi alla gravità, trasmettendo a chi osserva una condizione di fragilità, come se desiderassero tornare al periodo dell’infanzia, ricercando lì una comfort zone distante dal mondo esterno) alle tele di Palosuo, con protagonisti uomini colti nella loro quotidianità, ma dai visi cancellati, in una rappresentazione del non finito che pone l’accento sulla presenza-assenza della condizione umana, insidiata da ombre alle volte inquietanti, come fossero riflessi dell’io che si espandono, sul crinale tra realtà e illusione. Anche Alessi, in Topografia di un volto, si focalizza sul tema della negazione dell’identità (usa infatti olio e foglia argento ossidata su tela, spingendosi a dissolvere i contorni dei soggetti in un magma infuocato), come pure Lagrotteria, che sperimenta con pittura e scultura per realizzare immagini pregne di richiami simbolici a questioni quali il senso di inadeguatezza o i paradossi che scandiscono l’esistenza umana.
L’elenco potrebbe proseguire, poi, con – tra le altre – le illustrazioni a un tempo drammatiche e ironiche di Ascari («confutano la profonda infelicità cui siamo destinati, noi vittime e carnefici della società dell’immagine», precisa lui), con la denuncia sociale di Pulimeni, che critica la deriva puramente narcisistica, tutta centrata sul comando, l’affabulazione e l’abuso, del potere, sia esso politico e religioso (si spiegano così i due artwork in mostra, un piccolo pinocchio abbigliato con colletto bianco, cravatta fiammante e mitria vescovile, seduto di fronte al modellino di una basilica, dipinto su una lussuosa seduta in pelle firmata Poltrona Frau), le distese chilometriche di carta colorata di Fava, interamente manoscritte, intrecciate e ripiegate a mo’ di ordito del tessuto, così da racchiudere emozioni, sentimenti, stati d’animo dell’artista.
Una rassegna densa di rimandi ad argomenti di grande attualità, basti solo pensare a come la proliferazione dei social abbia trasformato il rapporto della quasi totalità delle persone con la propria immagine, favorendo una continua, non di rado fittizia autorappresentazione di sé. Non a caso il curatore, Federico Poletti, chiama in causa proprio Instagram e affini, perché «in un’epoca in cui i social creano tutti i giorni nuovi Narcisi digitali, il tema della natura umana in continua lotta con se stessa, tra culto dell’ego e ricerca dell’altro, può arricchirsi di spunti inediti tramite le opere di artisti contemporanei», invitati ad esplorare nuovi visioni e letture, mai così urgenti, del mito di Narciso.